La Belle Ferronnière di Leonardo da Vinci. Analisi

La Belle Ferronnière di Leonardo da Vinci. Analisi

Alessandro Trizio

Il dipinto noto come La Belle Ferronnière, universalmente attribuito a Leonardo da Vinci, affonda le sue radici nel primo soggiorno milanese dell’artista, un periodo caratterizzato da un’intensa attività creativa e di studio.

Durante il suo soggiorno a Milano, che si estese dal 1482 al 1499, Leonardo da Vinci entrò al servizio di Ludovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano. Questo periodo fu estremamente produttivo per l'artista e scienziato fiorentino, poiché ebbe modo di esprimere il suo talento non solo come pittore, ma anche come ingegnere, scienziato e architetto. Tra le sue opere più celebri realizzate a Milano spicca L'Ultima Cena, dipinta tra il 1494 e il 1498 nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie.

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Oltre alle sue attività artistiche, Leonardo lavorò su progetti di ingegneria civile e militare per conto degli Sforza, tra cui studi sull'architettura, sull'idraulica e sulla progettazione di macchine belliche. Milano rappresentò per Leonardo un ambiente intellettualmente stimolante, dove poté confrontarsi con altri artisti e scienziati e sviluppare ulteriormente le sue conoscenze in anatomia, botanica e meccanica.

Tuttavia, la sua permanenza a Milano si interruppe bruscamente nel 1499 con l'invasione delle truppe francesi, che costrinse Ludovico il Moro a fuggire e Leonardo a lasciare la città.

L’opera presenta forti analogie stilistiche con altri ritratti di quegli anni, come il Ritratto di musico e la celebre Dama con l’ermellino. Tra gli aspetti che colpiscono maggiormente c'è il raffinato gioco di luce, frutto degli studi sull'ottica che Leonardo stava approfondendo in quel periodo, evidente soprattutto nel riverbero del vestito rosso sulla guancia della figura femminile ritratta.

La denominazione del dipinto, La Belle Ferronnière, deriva da un errore di catalogazione risalente al tardo XVIII secolo. Il termine Ferronnière non si riferisce alla donna raffigurata, ma piuttosto al gioiello che adorna la sua fronte, un nastro o catenella con un pendente, all'epoca chiamato lenza o slenza. La Slenza è un tipo di gioiello medievale, tipicamente usato come ornamento per l'abbigliamento. In particolare, era una sorta di fibbia o fermaglio decorativo che veniva utilizzato per chiudere mantelli, vestiti o altri indumenti. Le slenze erano spesso realizzate in metallo prezioso come oro o argento e decorate con pietre preziose o smalti.

Questi accessori non erano solo funzionali, ma anche simboli di status e ricchezza, e spesso venivano indossati da nobili o persone di alto rango sociale

L'errore fece credere per molto tempo che la figura rappresentasse Madame Ferron, presunta amante di Francesco I di Francia, ma questa identificazione è ormai considerata infondata. Si ritiene infatti che la donna fosse legata alla corte di Ludovico il Moro, forse identificabile con Lucrezia Crivelli, una delle sue amanti, o con Cecilia Gallerani, ritratta in un’età più matura rispetto al celebre ritratto conservato a Cracovia.

Altre teorie suggeriscono nomi come Beatrice d'Este, moglie del Moro, o sua sorella Isabella, ma nessuna di queste ipotesi ha trovato conferma unanime tra gli storici dell'arte.

Un altro elemento interessante è il paragone con un disegno conservato agli Uffizi, eseguito a lapis e acquerello e attribuito a Leonardo da padre Sebastiano Resta nel XVII secolo. Il disegno, che mostra una giovane donna a mezzobusto, è stato spesso messo in relazione con il ritratto di Beatrice d'Este. Critici come Karl Morgenstern e Dalli Regoli hanno sostenuto che si tratti di una copia da un originale perduto del maestro.

La somiglianza con La Belle Ferronnière è notevole, in particolare per la torsione del busto e la posizione della testa, che sembra rispondere a un richiamo esterno, creando un senso di tensione e introspezione psicologica che conferisce alla figura un'aura di mistero.

Il volto della dama, benché in parte rivolto verso lo spettatore, evita il contatto visivo diretto, alimentando una sensazione di enigmaticità e distacco. Questa scelta compositiva, tipica delle opere di Leonardo, suggerisce una profondità emotiva, quasi una vitalità trattenuta che emerge dallo sguardo laterale della figura. Come nel ritratto di Cecilia Gallerani, anche qui l'abbigliamento è attentamente curato senza risultare eccessivo.

La dama indossa un abito con scollatura rettangolare e maniche intercambiabili, arricchite da lacci che lasciano intravedere la camicia bianca sottostante. Un dettaglio rilevante è la collana bicolore che scende delicatamente sul petto, annodata a un nastro. Questo tipo di sobrietà nell'abbigliamento, unito alla scelta di pochi ma eleganti accessori, ricorda molto lo stile della corte milanese di fine Quattrocento.

L'aspetto introspettivo del dipinto richiama, inoltre, le teorie di Leonardo da Vinci sui "moti dell'animo", ovvero quelle sottili manifestazioni emotive che l'artista cercava di catturare nei suoi soggetti per dare vita a una rappresentazione psicologica più naturale.

Questa ricerca della naturalezza sentimentale e psicologica, espressa da Leonardo anche nel suo Trattato di pittura del 1540, si riflette nell'opera in questione. Lo sguardo della donna non si limita a rimanere bidimensionale sulla tela, ma suggerisce un movimento emotivo che coinvolge l'osservatore. La sensazione di tensione emotiva e la complessità psicologica emergono attraverso una volumetria che conferisce dinamismo all'opera, rendendola più di una semplice immagine statica.

La connessione tra pittura e scultura, particolarmente evidente in questo gioco di profondità e prospettiva, si ricollega alla formazione dell'artista nella bottega di Andrea del Verrocchio. Durante questo periodo fiorentino, l'artista ha potuto esplorare il rapporto tra le due discipline, unendo la precisione scultorea nella resa volumetrica con la raffinatezza pittorica. Questo approccio multidisciplinare ha consentito di arricchire il dipinto con una tridimensionalità che va oltre la superficie piana, trasformando l'opera in un'esperienza artistica completa, dove la pittura incontra la scultura in un dialogo visivo ed emotivo.

Il modo in cui Leonardo ha lavorato sul chiaroscuro è evidente nella delicata fusione delle ombre del volto con i riflessi della veste, che sembrano fondere la figura con l’ambiente circostante.

L’intero dipinto si concentra sulla figura femminile, senza distrazioni superflue: lo sfondo nero è volutamente semplice e anonimo, contribuendo a enfatizzare i dettagli raffinati dell’abbigliamento, della pettinatura e dei gioielli della dama.

La Belle Ferronnière è anche al centro di una curiosa vicenda legale e commerciale avvenuta all'inizio del XX secolo. Un dipinto identico all'originale, di proprietà della famiglia Hahn, venne presentato come opera di Leonardo da Vinci. Tuttavia, il critico Joseph Duveen contestò l'autenticità del quadro, impedendone la vendita come opera leonardesca.

Il critico d'arte Joseph Duveen, una delle figure più influenti nel mercato dell'arte nel 1920, dichiarò pubblicamente che una versione del quadro posseduta da una coppia americana, Andrée e Harry Hahn, fosse un falso e non un'opera di Leonardo da Vinci. Questa affermazione fu fatta senza che Duveen avesse mai visto il dipinto di persona, basandosi solo sulla sua esperienza e conoscenza delle opere di Leonardo.

La coppia Hahn, che stava cercando di vendere il dipinto, lo aveva autenticato tramite un esperto francese e contava di realizzare una cospicua somma dalla vendita. Tuttavia, a seguito del commento di Duveen, l'affare con il Kansas City Art Institute fallì, e Andrée Hahn intentò una causa per diffamazione contro Duveen, chiedendo un risarcimento di 500.000 dollari. Il processo si concluse nel 1929 con una giuria indecisa, e Duveen scelse di patteggiare, pagando ai Hahn 60.000 dollari per evitare un secondo processo. Nonostante il patteggiamento, la reputazione del dipinto rimase compromessa, e l'autenticità del quadro continuò a essere contestata nel corso dei decenni successivi.

Solo nel 2010 l’opera fu venduta all’asta da Sotheby’s, ma venne attribuita a un seguace di Leonardo, realizzata prima del 1750, e venduta per 1,5 milioni di dollari, confermando ancora una volta la complessità e la fascinazione che circondano questo capolavoro.

Le opere di Leonardo da Vinci sono avvolte da un'aura di mistero che sembra persistere attraverso i secoli. Questo è dovuto, in parte, alla sua straordinaria abilità di fondere arte e scienza in modi che spesso sfuggono a una comprensione immediata. Le sue opere, infatti, non sono mai solo ritratti o scene statiche, ma vere e proprie riflessioni sul mondo naturale e sull'animo umano. Un esempio celebre è il Monna Lisa, la cui enigmatica espressione continua a essere oggetto di interpretazioni e teorie, e il cui sfondo sfumato rimane altrettanto ambiguo.

Un altro aspetto che contribuisce al mistero delle opere di Leonardo è l'uso di tecniche innovative e complesse, come lo sfumato, che rende i contorni delle figure indistinti, creando un effetto di profondità e ambiguità. La sua opera L'Ultima Cena è un altro esempio: la composizione e l'uso della prospettiva fanno sì che ogni osservatore abbia una percezione differente della scena, e molte interpretazioni simboliche sono state proposte nel corso del tempo.

Infine, i numerosi progetti incompiuti e i suoi codici criptici, pieni di studi scientifici e invenzioni avveniristiche, alimentano il fascino e il mistero attorno alla sua figura. Leonardo non era solo un artista, ma anche un visionario, e questo rende la sua eredità artistica e scientifica perennemente aperta a nuove scoperte e interpretazioni.

 

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