Restauri e misteri: la storia nascosta dietro la dama col liocorno di Raffaello Sanzio

Restauri e misteri: la storia nascosta dietro la dama col liocorno di Raffaello Sanzio

Storia del Dipinto

Il dipinto a olio La dama col liocorno, realizzato da Raffaello Sanzio intorno al 1505-1506, è conservato nella Galleria Borghese di Roma. L'opera compare già negli inventari Borghese dal 1760, ma nel corso del tempo ha subito diverse attribuzioni. Prima del 1928, infatti, si pensava che il dipinto fosse opera di maestri come il Perugino, Ridolfo del Ghirlandaio, Francesco Granacci o Andrea del Sarto. Solo nel 1928, grazie agli studi di Roberto Longhi, fu attribuito con certezza a Raffaello. Questa attribuzione fu ulteriormente confermata durante il restauro del 1935, quando le radiografie rivelarono che la figura originariamente non teneva in braccio il liocorno, o unicorno, simbolo di purezza virginale, ma un piccolo cane, simbolo di fedeltà coniugale.

Tecnica pittorica

Da un punto di vista tecnico, l'opera è eseguita con la tecnica dell'olio su tavola, una delle predilette da Raffaello in quel periodo, poiché garantiva una resa eccellente dei dettagli e un'intensa luminosità. Il dipinto si distingue per la delicatezza e la morbidezza delle sfumature che conferiscono al volto della dama un'aura serena e idealizzata.

Modifiche e restauro

Agli inizi del Novecento furono riconosciute le diverse mani che avevano contribuito ad alterare alcune parti del dipinto, aggiunte successivamente alla composizione originale. Prima del restauro del 1935, la donna ritratta appariva come Santa Caterina d'Alessandria, con i suoi classici attributi iconografici, tra cui la ruota dentata e la palma. Era consuetudine, all'epoca, rimaneggiare le opere d'arte per ragioni religiose o per soddisfare le richieste dei committenti. Per La dama col liocorno, la venerazione della famiglia Borghese per Santa Caterina giustificherebbe tale trasformazione. Anche le mani e il mantello furono aggiunti da un altro artista.

Identità della dama ritratta

L'identità della donna ritratta rimane oggetto di dibattito tra gli studiosi. Alcuni sostengono che si tratti di Caterina Gonzaga di Montevecchio, celebrata nel Rinascimento per la sua straordinaria bellezza. Secondo questa teoria, dopo la morte del marito Ottaviano Gabrielli di Gubbio, conte di Montevecchio, e il successivo ritiro di Caterina in convento, le sembianze della donna nel dipinto furono modificate per farla somigliare a Santa Caterina d'Alessandria, con un evidente richiamo simbolico al suo nome. Altri studiosi ipotizzano che la dama sia Maddalena Strozzi, sebbene questa ipotesi non trovi conferma. Un'altra teoria suggerisce che la dama ritratta si invece Giulia Farnese, amante di Papa Alessandro VI, dato che il simbolo del liocorno è anche associato alla famiglia Farnese.

 
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Descrizione iconografica

Il dipinto rappresenta una giovane donna seduta a mezza figura, posta davanti a una terrazza ornata con colonne. Il suo sguardo è rivolto frontalmente verso l'osservatore, caratteristica che richiama l'influenza leonardesca, evidente sia nell'intensità dello sguardo sia nella postura della dama, con le mani che abbracciano l'animale, come nella posa della Dama con l'ermellino. Tuttavia, Raffaello sostituisce il complesso simbolismo di Leonardo con un'eleganza sobria e raffinata, incentrata su una minuziosa cura dei dettagli.

Dettagli dell'abbigliamento e del liocorno

L'abbigliamento della dama è tipico delle giovani nobildonne del tempo: indossa un abito scollato, con maniche ampie e allacciate, simile a quello raffigurato in altre opere di Raffaello, come La Gravida, conservata a Palazzo Pitti. I capelli sono biondi, fluenti, e decorati da un piccolo gioiello sulla fronte, un diadema, mentre la pettinatura incornicia il viso. Gli occhi azzurri della dama sono rivolti verso un punto che sembra appena dietro le spalle dell'osservatore dando spazialità e mobilità all'opera. Al collo porta una catena d'oro con un pendente composto da un rubino e una perla a goccia. Tra le braccia tiene un piccolo liocorno, simbolo di purezza verginale, poiché, secondo la mitologia, solo le vergini potevano addomesticare quella creatura.

Conferma dell'attribuzione

L'attribuzione dell'opera a Raffaello non fu immediata. Solo nel 1928, grazie agli studi di Roberto Longhi, si giunse alla conferma definitiva che il dipinto fosse opera del maestro urbinate. Tale attribuzione fu consolidata durante il restauro del 1935, che rivelò non solo l'originaria presenza del piccolo cane al posto del liocorno, ma anche l'eleganza e l’integrale maestria con cui Raffaello aveva concepito l'opera.

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