
I manga sono arte?
Jayde BrowneCondividi
"I manga sono arte?" Una domanda che, fino a poco tempo fa, sarebbe sembrata ingenua o provocatoria, trova risposta proprio nel titolo della più grande mostra mai realizzata in Nord America: The Art of Manga. Tenuta a San Francisco nel de Young Museum, include oltre seicento lavori originali: una parata di tavole, schizzi e strumenti utilizzati dagli artisti più celebri del settore. Il pubblico ha la possibilità di osservare da vicino i lavori di otto maestri assoluti della narrazione disegnata, tra cui spiccano nomi come Eiichiro Oda, creatore di “One Piece”, e Mari Yamazaki, autrice dell’innovativo “Thermae Romae”, noti in tutto il mondo per la qualità del disegno e la profondità delle loro storie.
Il manga non è solo intrattenimento, ma una forma d'arte capace di veicolare emozioni, cultura e riflessioni profonde. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di far capire, non solo agli appassionati ma a tutti, la potenza espressiva dei manga, mettendo in luce quelle sfumature e quei dettagli che nessuna versione digitale riuscirebbe mai a restituire pienamente. Le opere originali rivelano i tratti della mano, piccole correzioni, segni che raccontano il viaggio di una scena dalla mente dell’autore al foglio.
La curatrice di questa mostra incredibile è Nicole Coolidge Rousmaniere, grande estimatrice della cultura manga. Rousmaniere ha una storia personale fatta di viaggi e ricerca nei luoghi raccontati dai manga; il de Young Museum le ha affidato il progetto dopo aver costatato il successo della sua precedente esposizione, tenuta al British Museum di Londra nel 2019, che aveva già attirato centinaia di migliaia di visitatori e portato il manga alla ribalta museale europea.
Rousmaniere desiderava puntare i riflettori sul processo di produzione, il labirinto di scelte e sforzi che sta dietro ogni pagina, dare valore all’aspetto più concreto del lavoro creativo, dal primo schizzo all’inchiostrazione finale. L’osservazione diretta delle tavole, distanti dal contesto industriale dell’editoria, è un’esperienza che cambia il modo di vedere il fumetto: da prodotto di serie a opera unica.
La protagonista indiscussa di questa narrazione artistica è Rumiko Takahashi, la regina di successi come “Inuyasha” e “MAO”. Nel suo spazio espositivo, il visitatore si confronta con il processo creativo del manga, dalla bozza iniziale all’opera finita, osservando le differenze tra i vari stadi e cogliendo le scelte stilistiche e le sfide tecniche. Questo percorso immersivo svela quanto lavoro si cela dietro ad ogni tavola, trasformando l’intuizione in stile.
Invece, nella sala dedicata a Hirohiko Araki, autore di “Jojo’s Bizarre Adventure”, si scoprono i materiali usati dagli artisti per dar vita ai loro protagonisti unici. Le penne, le matite, le superfici di lavoro diventano testimoni di una cultura del disegno che ha radici profonde in Giappone.
Ma il manga ha un forte valore culturale anche al di fuori del Giappone: la disegnatrice Mari Yamazaki, in un intervista, ha sottolineato come il manga sia considerato spesso una “semplice subcultura” giapponese, relegata agli scaffali delle librerie di quartiere, ai giovani appassionati e agli ambienti underground. In Europa e negli Stati Uniti, invece, si sta assistendo ad una rivalutazione profonda di questa categoria: il manga viene studiato come arte, celebrato nei musei e analizzato nelle università.
Questo dialogo tra manga e istituzioni artistiche occidentali apre una discussione fondamentale: i manga possono essere riconosciuti a pieno titolo come arte visiva? Le centinaia di visitatori che affollano ogni giorno le sale della mostra sembrano rispondere di sì a gran voce, stupiti dalla complessità compositiva, dai rimandi letterari e dalla forza delle immagini. Molti studiosi sottolineano come i manga affrontino temi universali, dalla crescita personale all’amicizia, dalla perdita alla speranza in scenari fantastici e coinvolgenti che parlano al cuore e alla mente.
Ciò che emerge dal percorso espositivo è che la definizione di “arte” non è più una questione di prestigio accademico, ma di impatto emotivo e culturale.