Johann Joachim Winckelmann e le rovine di Roma

Johann Joachim Winckelmann e le rovine di Roma

Alice Pettirosso

Johann Joachim Winckelmann e la nascita dell’estetica dell’arte antica: il fascino delle rovine di Roma

Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) è uno dei protagonisti assoluti della storia dell’arte moderna, un visionario che ha trasformato il modo di guardare l’antichità, inaugurando una nuova era nella critica artistica del XVIII secolo. La sua passione per i classici greci e romani ha dato vita a un cambiamento profondo nel pensiero estetico europeo, aprendo la strada al Neoclassicismo. Sebbene la sua predilezione fosse rivolta all’arte greca, considerata da lui la vetta inarrivabile della bellezza ideale, fu a Roma, la “Città Eterna”, che il suo pensiero trovò terreno fertile. Le rovine di Roma furono per lui un ponte verso la perfezione greca, alimentando la sua visione di un’estetica celebrativa della purezza delle forme e dell'armonia.

Il viaggio verso Roma: un incontro rivelatore
Winckelmann, tedesco di nascita, raggiunse Roma nel 1755, desideroso di immergersi nelle vestigia dell’antichità classica. All’epoca, la città era il cuore pulsante della cultura e dell’archeologia occidentale, con le sue rovine imponenti e i monumenti grandiosi che raccontavano la gloria dell’Impero Romano. Per Winckelmann, Roma fu un’autentica rivelazione: non erano semplici resti di pietra, ma fonti di ispirazione che risvegliavano in lui una nuova concezione del bello. Egli amava dire che “le rovine di Roma non sono solamente pietre mute, ma sono monumenti viventi che parlano della gloria di un passato maestoso, risvegliando un desiderio di emulazione e di grandezza negli animi di chi le contempla” (Storia dell’arte nell’antichità, libro IV, cap. 2). Vedeva nei frammenti di statue e architetture romane tracce della purezza dell’arte greca, ma era convinto che solo attraverso la comprensione di quest’ultima si potessero cogliere i veri ideali di bellezza classica, ideali che per lui risiedevano nella semplicità delle forme e nell’armonia perfetta.

Il potere evocativo delle rovine romane
Durante i suoi anni a Roma, Winckelmann trascorreva intere giornate tra i resti archeologici, esaminando con attenzione ogni dettaglio di statue, bassorilievi e templi. Tra i luoghi che lo rapirono di più ci furono il Foro Romano, il Colosseo e i Musei Capitolini, dove cercava quella “nobile semplicità e quieta grandezza” (edle Einfalt und stille Größe) che definì come l’essenza della bellezza classica. L’idea nacque dall’incontro tra la sobrietà dell’arte greca e la magnificenza decadente delle rovine di Roma, testimoni potenti di un passato che, pur nella sua rovina, continuava a trasmettere un senso di elevazione spirituale. Winckelmann descrisse questa esperienza dicendo che “le rovine di Roma sono come grandi libri aperti, i cui frammenti svelano ai nostri occhi un sapere antico, ma ancora capace di risvegliare nel cuore un anelito di bellezza e di verità” (Storia dell’arte nell’antichità, libro IV, cap. 2).

Le rovine, con la loro aura di decadenza maestosa, risvegliavano in lui non solo la nostalgia di un passato glorioso, ma anche un anelito verso la perfezione spirituale. Winckelmann era convinto che l’arte antica fosse capace di nobilitare l’animo, trasmettendo attraverso le sue forme ideali di virtù e bellezza che gli artisti del suo tempo dovevano riscoprire e fare propri. Da tali riflessioni nacque la sua opera più celebre, Storia dell’arte nell’antichità (1764), un testo che segnò l’inizio dell’archeologia moderna e della critica d'arte sistematica. Winckelmann analizzò l’evoluzione dell’arte dall’Egitto alla Grecia, per poi giungere a Roma, costruendo una gerarchia che vedeva nell’arte greca il punto più alto della perfezione artistica.

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Incontri memorabili e intuizioni geniali

Un episodio centrale nel suo percorso romano fu la scoperta della scultura del Laocoonte, custodita nei Musei Vaticani. Il gruppo scultoreo, ritrovato nel 1506, incarnava per Winckelmann il massimo del pathos: un dolore profondo che, pur nella sua intensità, manteneva una compostezza eroica. Da qui nacque una delle sue intuizioni più celebri: la bellezza ideale non si trova nell’assenza di emozioni, ma nella capacità di elevare le passioni a un livello di equilibrio superiore. L’arte, per lui, doveva aspirare a una rappresentazione ideale, capace di superare i limiti della realtà e rendere visibile l’eterno.

Un altro momento chiave fu il rapporto che sviluppò con i circoli aristocratici romani e i grandi collezionisti d’arte, come il cardinale Alessandro Albani. Winckelmann frequentava i salotti dell’élite culturale, dove aveva accesso a collezioni private di antichità che arricchivano ulteriormente la sua visione. Così le sue idee si diffusero tra gli intellettuali e gli artisti del Grand Tour, dando vita a una corrente di pensiero che avrebbe modellato il Neoclassicismo in tutta Europa. Le sue teorie non influenzarono solo la critica d’arte, ma anche la produzione artistica, lasciando un’impronta indelebile sul gusto e sull’estetica del tempo.

La riscoperta dell’ideale classico
Winckelmann non si limitò a studiare l’arte antica; egli ne celebrò l’anima. L’arte greca, secondo Winckelmann, incarnava la purezza primordiale, un’arte che si era concretizzata nei corpi degli dei e degli eroi. L’arte romana, sebbene la vedesse come una continuazione di quella greca, rappresentava anche una sua decadenza. Tuttavia, le rovine di Roma, cariche del passaggio del tempo, lo portarono a riflettere sulla natura effimera della bellezza e sulla possibilità di intravedere negli antichi frammenti un ideale eterno. Il suo approccio non era solo descrittivo, ma si sforzava di comprendere il contesto culturale e la sensibilità estetica che avevano dato vita a quelle opere, ponendo particolare enfasi sullo studio della natura come fonte di ispirazione per gli artisti.

L’eredità di Winckelmann: una rivoluzione estetica
La visione di Winckelmann rappresentò una rottura radicale con le forme barocche e rococò, orientando il gusto europeo verso un’arte più austera e intrisa di spirito classico. La sua grandezza sta nell’aver riconosciuto nelle opere dell’antichità un modello per l’arte contemporanea, tracciando un filo invisibile che legava la perfezione della Grecia classica alla maestosità di Roma, fino a influenzare profondamente la cultura europea. Le sue riflessioni continuano a risuonare ancora oggi, dimostrando come la riscoperta del passato possa illuminare il presente e aprire nuove strade per il futuro dell’arte. La sua opera ha segnato un punto di svolta nella storia dell’arte, trasformando la “Storia” in uno strumento per comprendere l’evoluzione del gusto e della bellezza nel tempo.

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