"Espressionisti italiani" a Vercelli: le identità in dialogo tra storia e memoria

"Espressionisti italiani" a Vercelli: le identità in dialogo tra storia e memoria

Jayde Browne

Allo Spazio ARCA, ex Chiesa di San Marco, di Vercelli, si inaugura un viaggio profondamente identitario: un racconto visivo attraverso le opere dei grandi maestri dell’Espressionismo italiano, tra cui Lucio Fontana, Emilio Vedova, Renato Birolli, Renato Guttuso, Fausto Pirandello, Aligi Sassu. La mostra, nata dalla Collezione Giuseppe Iannaccone e curata da Daniele Fenaroli, rappresenta la prima tappa di un progetto pluriennale che aspira a mettersi in dialogo, di volta in volta, con nuovi protagonisti dell’arte contemporanea. In questa edizione è Norberto Spina, classe 1995, a dare voce alle inquietudini del presente grazie a lavori site specific, inediti e prestiti di rilievo internazionale come quello dalla Royal Academy di Londra.

L’esposizione, aperta dall’11 settembre 2025 all’11 gennaio 2026, si sviluppa sul filo della memoria e sulle tensioni che l’Espressionismo, italiano nella sua declinazione più personale, ha saputo portare nell’arte nazionale tra il 1920 e il 1945. Gli artisti esposti sono rappresentanti di libertà, portatori di uno sguardo anti-retorico che si esprime come resistenza contro le logiche celebrative imposte dal fascismo. Le loro visioni privilegiano corpi sbilanciati, nature morte perturbanti, città oniriche e vite marginali, immerse in una quotidianità densa di silenzi e disarmante nella sua semplicità. Opere come “Nudo in piedi” di Fontana del 1939, “Caffeuccio veneziano” di Vedova del 1942, e “Ritratto di Mimise” di Guttuso del 1938 si mostrano non soltanto come pagine della storia dell’arte italiana, ma come linguaggi ancora vitali che interrogano la nostra epoca.

La mostra si pone come spazio di alternanza e di confronto tra passato e presente. In questo ambiente si inserisce il lavoro di Norberto Spina, artista dedito alla rilettura dei temi di memoria personale e collettiva, attraverso un uso raffinato di fotografie d’archivio, iconografie della tradizione italiana e immagini sovrapposte che diventano frammenti visivi di ricordi. Spina indaga le relazioni fra individui e memoria, facendo dialogare la pittura contemporanea con l’eredità degli anni Trenta, evocando archivi smarriti, memorie spezzate e identità fratturate. La sua arte si distanzia dalla retorica e abbraccia l’empatia, la deformazione e l’indagine del sé, elementi cardine della poetica espressionista.

Un aspetto essenziale dell’esposizione è la contestualizzazione storica. Tra il 1920 e il 1945, il regime fascista e la guerra mondiale modificano l’orizzonte del vivere e del creare in Italia. In questo clima, gli artisti della Collezione Giuseppe Iannaccone realizzano una contro-narrazione silenziosa, fatta di gesti “deviati”, colori dimessi, figure alienate. Si tratta di una arte che sceglie la marginalità e la protesta esistenziale come spazio di resistenza. Gli espressionisti rifiutano la monumentalità e portano invece la fragilità umana, le tensioni della società e il dolore di un’epoca devastata dalle ideologie. Le loro immagini rompono con la visione celebrativa dominante: corpi e oggetti appaiono sospesi, deformati, irrequieti, capaci di raccontare inquietudini sottili e dolori collettivi.

La scelta di accostare le opere storiche della collezione a quelle di Spina non è solo una operazione di documentazione. Il percorso curatoriale sviluppa nuclei tematici in cui il colore diventa forma di resistenza, il ritratto si fa ricerca dell’identità e il presente si configura come soglia incerta fra passato e futuro. Il visitatore è chiamato non a contemplare una storia pacificata, ma a mettersi “dentro” il processo di rappresentazione e memoria. L’esposizione invita a interrogare ciò che vediamo, a superare la distanza dai fatti storici e vivere le tensioni ancora e soprattutto attuali che l’Espressionismo trasmette alla contemporaneità.

Il dialogo tra immagini del passato e sguardi del presente è una delle sfide più innovative della mostra. L’avventura espressionista italiana viene narrata non come malinconico reperto, ma come “linguaggio vivo”, ancora in grado di parlarci di libertà, responsabilità, visione. Opere di Birolli, Guttuso, Fontana, Pirandello, Sassu mettono in crisi l’ordine imposto dal potere e abbracciano invece la vulnerabilità, l’indagine psicologica, l’empatia come principi di una nuova arte. La ricerca espressiva si traduce in una narrazione alternativa, fatta di fermenti profondi che interrogano la storia e il nostro presente.

La mostra assume così il senso di una mappa critica: nell’ex Chiesa di San Marco si intrecciano paesaggi emotivi, archivi visuali smarriti e possibilità di trasformazione. Ogni opera sfida l’idea tradizionale di rappresentazione e invita chi osserva a farsi parte attiva nel processo della memoria. Il pubblico è sollecitato a mettere in discussione la propria visione del passato e del presente, in un percorso che chiede responsabilità e sensibilità. Tra nuclei tematici e rimandi tra epoche diverse, emerge la complessità identitaria dell’Espressionismo italiano, capace di farsi veicolo di domande ancora irrisolte.

Questa operazione di confronto si arricchisce ulteriormente grazie alla dimensione internazionale: il prestito dalla Royal Academy di Londra segna la volontà di aprire il dialogo tra l’Italia e la scena mondiale dell’arte contemporanea. La mostra si presenta come uno spaccato della tensione dialettica che anima la storia dell’arte e la rende spazio vivo, luogo di resistenze, esperimenti e domande.

Alla base dell’iniziativa sta il DNA della Collezione Iannaccone: capolavori realizzati tra il 1920 e il 1945 si intrecciano con visioni e sensibilità contemporanee, dando vita a una narrazione affascinante e profonda. Il fatto che la mostra sia pensata come “dentro la storia”, e non solo come rievocazione storica, permette di vivere intensamente lo spazio critico che l’arte crea dentro la società. Rileggere l’Espressionismo italiano oggi significa accettare le sue ombre e le sue tensioni come parte integrante delle trasformazioni sociali e culturali del nostro presente.

Il percorso suggerito dal curatore Fenaroli è ricco e articolato: dall’indagine sul colore all’articolazione del tema del ricordo, dalle identità smarrite alle possibilità di un futuro che si fa presente creativo, ogni opera diventa finestra e specchio di domanda esistenziale e storica. Le testimonianze visive di Fontana, Vedova, Birolli, Guttuso, Pirandello, Sassu e gli altri sono lo spirito inquieto di una stagione che ha saputo opporsi alla cultura dominante e rielaborare l’immaginario di un Paese attraversato dalla crisi.

Guardare oggi le opere espressioniste nella cornice della mostra di Vercelli non significa solo recuperare la memoria artistica di un’epoca, ma anche interrogarsi sulle possibilità attuali di resistenza, creatività e consapevolezza. L’incrocio tra le opere storiche e la ricerca contemporanea di Norberto Spina rivela la forza attiva di una stagione che continua a parlare al nostro tempo e invita ad affrontare il passato come un linguaggio vivo, capace di sostenere riletture, sfide e nuovi orizzonti poetici.

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