Years di Open Group: l’arte che trasforma il tempo della guerra ucraina in memoria

Years di Open Group: l’arte che trasforma il tempo della guerra ucraina in memoria

Letizia De Rosa

Quando si entra negli spazi della Tenuta dello Scompiglio per visitare Years, la mostra del collettivo ucraino Open Group, la prima sensazione è di trovarsi davanti a qualcosa di più di una semplice esposizione. Le opere non si limitano a descrivere o commentare la guerra in Ucraina: rendono tangibile ciò che normalmente resta astratto nei media, trasformando date, immagini ed esperienze in un campo visivo e sensoriale che coinvolge chi guarda a un livello profondo. 

La mostra, curata da Angel Moya Garcia, presenta video, installazioni e opere site-specific che occupano lo spazio espositivo e ne mutano la percezione. I membri del collettivo Open Group sono tre artisti: Yuriy Biley, Pavlo Kovach e Anton Varga, che già avevano attirato l’attenzione internazionale con progetti alla Biennale di Venezia e in altri contesti espositivi. 


Il cuore della mostra: il tempo come presenza

Il titolo Years non è solo un nome, ma diventa il vero protagonista dell’opera. Le opere sono costruite attorno alla scansione temporale del conflitto tra Russia e Ucraina, un conflitto iniziato nel 2014 con l’annessione della Crimea e aggravatosi con l’invasione su larga scala del 2022. Anni di guerra che per molti sono numeri su report e statistiche, qui diventano «presenza tangibile», una sorta di memoria materializzata. 

In alcuni passaggi dell’opera, gli anni stessi prendono forma: cifre incise su marmo o segnate su superfici improvvisate come cemento, richiamano epoche commemorative. Questo uso delle date non è un dettaglio formale ma un modo per far percepire al visitatore quanto la guerra sia durata nel tempo e negli effetti sulla vita delle persone. 

Le opere video e installative non raccontano scene di combattimento, né mostrano immagini violente in senso tradizionale. Piuttosto, concentrano l’attenzione sulle conseguenze, sui corpi che restano, sui volti, sulle vite interrotte e sulla persistenza dei ricordi. Questo approccio spinge chi guarda a confrontarsi con ciò che il conflitto ha prodotto a livello umano e sociale. 

Arte e testimonianza: un legame profondo

Il collettivo Open Group lavora da anni su temi che riguardano memoria, guerra e identità. Negli ultimi anni sono stati invitati alla Biennale di Venezia e hanno presentato opere come Repeat after Me, in cui riflettono sulle esperienze dei rifugiati e dei testimoni del conflitto. In quel contesto, parte del pubblico era chiamato a ripetere suoni e testimonianze, un gesto che rompeva le barriere tra spettatore e opera d’arte e trasformava lo spazio espositivo in un luogo di condivisione e riflessione. 

Questo stesso spirito si ritrova in Years. La mostra non si limita alla denuncia politica o morale. È un atto di testimonianza collettiva, che preserva ciò che la guerra spesso cerca di cancellare: nomi, storie, connessioni umane e comunità frammentate. Le opere parlano di presenze che continuano a esistere, anche se il conflitto mette in discussione la possibilità stessa di sopravvivenza. 


Spazio, memoria e percezione

Camminare tra le installazioni significa fare esperienza di uno spazio che muta continuamente sotto gli occhi. La mostra dissolve la distanza tra lo spettatore e la tragedia, non lasciando che la guerra resti un evento distante, ma trasformandola in una esperienza sensoriale diretta. La freddezza dei numeri ufficiali sulla guerra si scioglie in una realtà fatta di volti, voci, ombre di vite interrotte. 

Questa trasformazione è parte di una tendenza nell’arte contemporanea che cerca nuovi modi per raccontare eventi storici complessi. Non si tratta di spettacolarizzare la sofferenza, ma di restituire uno spazio di ascolto, riflessione e memoria. Le opere di Years non danno risposte facili, ma invitano chi guarda a riconoscere la guerra come esperienza umana prima ancora che come dato geopolitico.


L’arte come spazio di dialogo

La reazione del pubblico alla mostra è stata intensa e varia. Molti visitatori hanno sottolineato come Years riesca a toccare corde profonde, andando oltre l’informazione quotidiana dei telegiornali. Attraverso immagini, suoni e spazi, la mostra invita a confrontarsi emotivamente con ciò che spesso rimane sullo sfondo dei discorsi politici.

La critica internazionale ha riconosciuto l’importanza di questo tipo di progetti, sottolineando il valore dell’arte come spazio di dialogo e di elaborazione. Non si tratta di agire solo sull’estetica, ma di aprire una conversazione che supera i confini nazionali e culturali, mettendo al centro la dignità delle esperienze individuali. 


L’eredità artistica di Open Group

Open Group non è un collettivo astratto. È formato da artisti che vivono la diaspora, la guerra e la mobilità forzata sulla propria pelle. Alcuni membri lavorano in diverse città europee, altri si trovano direttamente nei territori colpiti dal conflitto. Questa pluralità di prospettive si riflette nelle opere, che non cercano un’unica verità ma molteplici punti di vista. 

La mostra Years non vuole semplificare o pacificare una situazione complessa. Al contrario, mette in evidenza come la memoria della guerra non possa essere ridotta a slogan o a statistiche, ma richieda uno spazio in cui elaborare ricordi, dolore, resistenza e resistenza culturale.


L’arte davanti alla guerra

Guardare le opere di Years significa confrontarsi con una domanda centrale: cosa resta quando tutto sembra essere perduto o cancellato? Le installazioni e i video non offrono conclusioni, ma aprono spazi di pensiero e di sentimento. L’arte diventa così un mezzo per rendere visibile ciò che sembra invisibile, per trasformare l’abstract della guerra in narrazioni riconoscibili e toccanti.

Il lavoro di Open Group testimonia come l’arte contemporanea possa ancora contribuire alla costruzione di senso in un mondo segnato da conflitti prolungati e da crisi umanitarie. Ogni immagine, ogni suono, ogni spazio vuoto nella mostra è una traccia di vite che resistono, che raccontano e che chiedono di essere ascoltate.



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