Paesaggio con figure di dame e cavalieri. Analisi
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Il dipinto in questione, caratterizzato da un'atmosfera fiabesca e una vivida scena di caccia al cervo, è probabilmente entrato nella Collezione Borghese nel 1608.
Questo ingresso avvenne grazie all'invio di opere da Ferrara, curato da Enzo Bentivoglio su incarico del cardinale Scipione Borghese, a seguito della spoliazione dei camerini d'alabastro del castello Estense.
Il dipinto mostra un paesaggio incantato, in cui il fiume e le colline circostanti sono immersi in una luce azzurrina che sfuma i contorni. Al centro della scena, tra il fiume e un gruppo di nobili dame e cavalieri, si svolge una battuta di caccia, con cavalli e cacciatori intenti a uccidere un cervo.
La palette cromatica utilizza toni terrosi e morbidi, con una particolare attenzione alla luce crepuscolare che filtra attraverso gli alberi e bagna il paesaggio. L’uso dei verdi, marroni e azzurri per gli alberi, l’acqua e il cielo crea un'atmosfera tranquilla e serena, mentre i colori più accesi e brillanti dei personaggi in primo piano (rosso, bianco, oro) li fanno risaltare rispetto all’ambiente naturale.
Le pose di questi personaggi sono elaborate e teatrali, in perfetta sintonia con l'estetica manierista. C'è un senso di narrazione implicita, come se i personaggi stessero partecipando a una scena di corte o a un evento cerimoniale. I dettagli dei loro abiti e delle armature sono curati, con un'attenzione alla moda e allo status sociale.
Nonostante la bellezza dell'opera, la sua attribuzione è rimasta a lungo controversa. Inizialmente, nel 1693, fu associata a un pittore ferrarese, noto come "Dosi di Ferrara", un'attribuzione largamente accettata fino al XIX secolo.
Tuttavia, altri studiosi hanno successivamente identificato il dipinto con un'opera attribuita al fiammingo Paul Bril, noto per la sua influenza nell'arte paesaggistica a Roma durante il XVII secolo. Questa attribuzione si basa su un inventario secentesco che descrive un paesaggio con caratteristiche compatibili con quelle del dipinto.
Nel 1924, l'attribuzione prese una direzione diversa grazie a Carlo Gamba, che lo collegò a Nicolò dell'Abate. Tale ipotesi fu ulteriormente sostenuta da critici come Roberto Longhi e Aldo De Rinaldis, che paragonarono l'opera a un altro dipinto di Nicolò, il *Paesaggio con caccia al cinghiale* della Galleria Spada di Roma.
Nicolò dell'Abate, noto per la sua raffinata capacità di rappresentare scene paesaggistiche, spesso influenzato dall'arte fiamminga, si distinse per l'uso di tonalità fredde e una costruzione scenica che richiamava ambienti cortesi e aristocratici.
Il legame di Nicolò con la tradizione artistica ferrarese, in particolare con i fratelli Dossi, è evidente. Tuttavia, Nicolò apportava un'originale elaborazione cromatica e una precisione nella rappresentazione delle figure umane, che poteva derivare dalla sua formazione presso botteghe di scultori e pittori modenesi come Antonio Begarelli e suo padre Giovanni. Queste influenze classiche si mescolavano con l'interesse per i dettagli minuziosi, tipico dell'arte fiamminga.
Un altro aspetto interessante della carriera di Nicolò dell'Abate fu il suo legame con la corte francese, dove lavorò a partire dalla metà del XVI secolo. L'artista fu chiamato da Francesco Primaticcio a partecipare alla decorazione del castello di Fontainebleau, uno dei più importanti centri della cultura artistica rinascimentale in Francia.
Qui sperimentò diverse tecniche e materiali, partecipando a grandi progetti decorativi come la Salle de Bal e la Galerie d'Ulysse.
La datazione del dipinto, secondo gli studiosi, risale agli anni bolognesi di Nicolò, prima del suo trasferimento in Francia. La composizione fiabesca, la vivacità cromatica e le figure elegantemente allungate richiamano lo stile delle opere mitologiche dei Carracci, che successivamente decorarono i palazzi delle famiglie Fava e Magnani a Bologna.
Questo elemento conferisce all'opera una dimensione premonitrice, anticipando le soluzioni stilistiche che avrebbero influenzato l'arte italiana dei decenni successivi.
La vita di Nicolò dell'Abate
Nicolò dell'Abate (Modena, circa 1510 – Fontainebleau, 1571) è stato un pittore italiano di rilievo, esponente del Manierismo e parte della celebre Scuola di Fontainebleau. La sua formazione artistica iniziò in Emilia, influenzata da artisti locali come Antonio Begarelli, Correggio e Parmigianino. Inizialmente, lavorò principalmente in affreschi, una tecnica in cui dimostrò grande maestria sin dai primi incarichi a Modena e Bologna.
Uno dei suoi primi grandi lavori fu il ciclo di affreschi di ispirazione virgiliana nella Rocca di Scandiano, con episodi tratti dall'Eneide, oggi in parte conservati nella Galleria Estense di Modena. Questi affreschi, ricchi di narrazione e colorismo, segnarono un'importante tappa nella sua carriera e nella decorazione italiana del XVI secolo.
Nel 1552, Nicolò si trasferì in Francia, alla corte di Enrico II, su invito di Francesco I, dove lavorò insieme ad artisti come il Primaticcio. Qui divenne un protagonista della decorazione del Palazzo di Fontainebleau, contribuendo a diversi cicli pittorici, tra cui la celebre Sala da Ballo.
Il suo stile, caratterizzato da eleganti composizioni manieriste e vivace uso del colore, influenzò notevolmente la pittura decorativa francese del periodo, in particolare nella rappresentazione di paesaggi e scene mitologiche.
L'artista si dedicò anche alle arti applicate, realizzando disegni per smalti e apparati scenici per eventi della corte francese. La sua carriera si concluse con la realizzazione di apparati per l'entrata di Carlo IX a Parigi nel 1571, dimostrando una continua innovazione e una capacità narrativa di grande intensità.