Le vicende storiche di “Susanna e i vecchioni” di Paolo Caliari, detto il Veronese, sono alquanto complesse e interessanti. Secondo Boccardo e Magnani esso dovrebbe identificarsi con quello menzionato nell’inventario, steso nel 1658, della raccolta di Gio. Batta Balbie quasi subito alienato nel corso di una vendita all’asta di parte della collezione.
La sua prima menzione a stampa risale al 1847, quando Alizeri lo annovera nella collezione Doria in Strada Nuova, confermando il resto dell’Anonimo de 1818 (Descrizione 1818 1969 pp. 305306) che cosi lo descrive: “gran quadro rappresentante la casta Susanna, di Paolo da Verona, bello e prezioso”.
E in questa collezione che viene riscoperto da Morassi nel 1946 che lo include nella Mostra della pittura antica in Liguria del Trecento al Cinquecento da lui curata. In tale Occasione la tela viene riportato alle sue dimensioni originali ripiegando i due ingrandimenti, probabilmente seicenteschi, in alto e in basso.
Quando l’opera ritorna nella collezione Doria mantiene tali dimensioni come si può vedere nell’immagine del salotto del Veronese pubblicata nel libro di Torriti, Tesori di Strada Nuova.
Probabilmente però i due ingrandimenti vengono nuovamente spiegati attraverso una foderatura prima che la tela venga venduta a Banca Carige nel 1969, poiché quando essa en tra in tal collezione e di nuovo ingrandita.
Queste bande, di tela semplice e non a spina di pesce come il resto del dipinto, alterano e falsano però la prospettiva e lo spazio dell’opera, fatto che già lamentavano la Gavazza e Pesenti nel 1989 nella scheda del dipinto conservata nell’archivio della Banca.
Durante il restauro eseguito da Silvestri nel 2005 al rientro dell’opera dalla mostra “Veronese: Miti, ritratti, allegorie”, si è riscontrato un ulteriore piccolo ingrandimento sul lato di sinistro che rivela un’originale pendenza della tela verso destra.
L’analisi chimica dei colori mostra come nell’ingrandimento il cielo sia reso attraverso l’uso dello smaltino di una tonalità più scura rispetto all’azzurro del cielo originale, poiché esso si era scurito nel tempo, fatto che, assieme all’aggiunta di brani pittorici come alcuni rami e foglie, rende l’ampliamento di qualità pittorica assai meno preziosa e vibrante rispetto al resto del dipinto.
Inoltre, l’inquadratura, nelle sue dimensioni originali, tagliava la statua marmorea all’altezza delle spalle per una scelta voluta dal Veronese.
Domenico Fiasella, invece, el raffigurare la scena con “Abramo e i tre angeli” è assolutamente fedele al testo biblico.
“Il Signore gli apparve [ad Abramo] poi presso il querceto di Mamre, mentre egli, sul caldo del giorno, era seduto davanti alla sua tenda, alzati gli occhi, guardò, ed ecco, tre uomini in piedi gli stavano davanti”
Vero l’albero della quercia sotto cui si svolge il convito di Abramo con gli angeli, vero l’apparato della mensa con la schiacciata di farina che Sara, su richiesta di Abramo, aveva impastato e con le carni del vitello, preparate da un servo, sempre su ordine di Abramo.
La metamorfosi, in veste di angeli dei “tre uomini” della narrazione biblica si spiega attraverso un passo del Libro I dei Re (13, 18) “Un angelo mi ha parlato con le parole del Signore”, dice un vecchio profeta.
I tre uomini angeli sono dunque i messaggeri del Signore, dei quali Abramo dice di essere il “servitore”. Sempre con fedeltà al testo biblico, appare sull’uscio della casa, nella quale è mutata in immagine la tenda di Abramo, la figura di Sara in atto di ascoltare con sorpresa il vaticinio del Signore che annuncia ad Abramo “Tornerò certamente da te fra un anno e Sara tua moglie, allora avrà già un figlio” (Genesi 18, 10).
La narrazione si svolge secondo una regia che appare nuova rispetto alle composizioni di Fiasella.
Un paesaggio aperto sullo sfondo di una casa umile che la presenza di una donna intenta a stendere i panni rapporta alla consuetudine di un rito a far da complemento a una scena focalizzata sul convito, ma che ha la sua apertura sequenziale nella bella figura del servo che porta l’acqua ai convitati.
È interessante notare che proprio l’atteggiamento del personaggio situato sul lato destro della raffigurazione e rivolto verso l’esterno, introduce alla narrazione, creando la dinamica dei rapporti tra lo spazio dello spettatore e quello della scena in cui si svolge l’evento biblico.